COMMENTANDO…
Una riflessione sulla “qualità della vita”
Quali e quanti sono gli elementi che concorrono a determinare la qualità della vita di una persona? C’è lo stato di salute fisica, della salute psicologica e spirituale, del benessere o della povertà economica, della positività o del fallimento delle relazioni affettive, familiari e sociali… e si possono aggiungere tantissimi altri aspetti che per ciascuna persona possono avere peso diverso. Per qualcuno persino una ‘brutta figura’ o una ‘ripicca’ può essere una ragione sufficiente per decidere di rinunciare a vivere. Il gran parlare di questi giorni a proposito di questo problema mi pare abbia posto e continui a porre al centro il tema della libertà che ogni persona deve avere di decidere quando e come ritiene di rinunciare alla vita, valutando che non avrebbe più la qualità per cui vada la pena o possa essere vissuta. Libertà individuale, diritto all’autodeterminazione sulle decisioni che riguardano la propria vita, strutture e persone che aiutano o collaborano a rendere esecutiva da parte del soggetto tale decisione.
Alla fin fine, che sia stato il dj a schiacciare con la propria bocca la pompetta che metteva in circolazione la bevanda terminale o che l’avesse premuta un altro con il suo consenso non cambiava nulla: ritengo si sia trattato di spettacolarizzazione dell’evento mortale. Per me il problema più importante, e se ne parla poco, sta nel ruolo che possono avere ‘gli aiutanti’ nell’aiutare a vivere o a morire, offrendo motivazioni di ogni ordine al soggetto per vivere o morire. La medicina fa il suo compito di alleviare il dolore, prendendo atto che non può illudere che col tempo le condizioni di ‘mobilità’ o di ‘minor disagio’ senz’altro miglioreranno, anzi potranno anche peggiorare. Ma tutti i soggetti che stanno attorno, o si propongono di farlo, ritengo che abbiano molta parte nel fare nascere la consapevolezza che la condizione fisica non è l’unico componente, e spesso neanche il principale, che può dare senso a relazioni che danno ‘qualità’ e ‘significato’ al vivere umano. E’ vero che viviamo nel corpo, ma mi chiedo se tutta la qualità della vita dipenda esclusivamente e totalmente dalle condizioni del corpo. Voglio dire, in poche parole, che ogni scelta cosiddetta ‘libera’ matura a seguito di molteplici motivazioni: quando uno decide di morire consapevolmente, significa che non ha trovato né in sé né in chi gli sta attorno motivazioni sufficienti per continuare a vivere, nonostante il forte disagio fisico in cui si è venuto a trovare. Il male e il disagio proprio, e forse anche quelli provocati ai vicini, hanno prevalso sulle altre relazioni e motivazioni. Rivendicare libertà della decisione è anche prendere atto che è mancato qualcos’altro che talvolta, come dice il Manzoni del coraggio, “uno non se lo può dare”. Ora forse sta in pace lui e anche quelli che lo hanno accompagnato a questa scelta, liberati dalla fatica di condividere quel dolore e quel disagio, magari qualcuno di essi orgoglioso di avere reso possibile l’esercizio di quella libertà finale. Io non muoio di ammirazione per queste cliniche fautrici di libertà mortale, anche se sono svizzere… E anche gli ‘aiutanti’ spero non ne abbiano vanto, anche se si autodenunciano.
+ Adriano Tessarollo
Da Nuova Scintilla n.9 – 05 marzo 2017