Commentando…
Ancora sugli immigrati
Da qualche tempo ci troviamo di fronte ad una invasione non programmata, e se vogliamo dire anche ‘scomposta’, di gente che fugge dalla sua terra perché si sente minacciata da guerra e da violenza, senza poter prevedere quando e se questa situazione avrà termine; altri invece cercano o sono in qualche modo indotti, e Dio non voglia forzati da altri (per motivi di interesse), a lasciare il loro paese e venire a cercare un futuro ‘più vivibile’ per sé o per la propria famiglia in Europa. E’ facile anche che, tra chi cerca sinceramente sicurezza o possibilità di vita più umana, ci sia pure qualcuno che fugge dalla sua terra o viene in Europa per altre cause. Non c’è dubbio che questa è una situazione di emergenza che crea disagio nei paesi dove essi giungono, ma molto di più crea disagio a loro, che devono affrontare pericoli e correre rischi di ogni genere e, in quantità non piccola, anche il rischio di morte. La prima reazione è quella di dire che stiano a casa loro, che qui abbiamo già tanti poveri, che non c’è lavoro, che la loro presenza è un costo per tutti, che non sono poveri perché hanno telefonini e sono vestiti bene, che sono una minaccia per noi, che sono esigenti, che non si integrano con la nostra cultura, le nostre leggi e tradizioni e che è meglio che stiano dove sono e casomai siano aiutati là sul posto… e tanto altro ancora… . Ma troviamo giusto pigliarcela con questi sventurati che fuggono o che cercano con non poca fatica e rischi qualche alternativa qui in Europa, compresa Italia? Certo si renderanno conto dopo non troppo tempo che forse non troveranno qui quello che cercano. Ma intanto è il caso di opporre rifiuto e magari ostilità e disprezzo?
E’ evidente per tutti che si richiedono due tipi di intervento. Il primo è di intervenire sulle cause, che vanno prima individuate (spesso non è facile individuare i responsabili di questi disordini, guerre e violenze che sono certamente di vario genere), per poi organizzare l’intervento più opportuno (che il rimedio non sia peggiore del male), cosa che richiede volontà, tempo e mezzi. Ma nel frattempo bisogna organizzare il secondo intervento, che di fatto diventa il primo e il più immediato: offrire aiuto ai fuggitivi, che non devono subire ulteriori maltrattamenti e violenze o addirittura perdere la vita.
Accoglierli non significa giustificare ciò che sta accadendo nei loro paesi, non significa favorire la loro venuta, non significa dire che è bene quello che sta succedendo, ma significa anzitutto non infierire anche noi su di loro, significa prenderci cura delle persone, in attesa che si ponga rimedio alla causa di queste fughe. Altrimenti, finché noi dibattiamo sulle cause, su chi e come si debba intervenire, o su chi e quanti se ne debbano accogliere, questi soffrono e muoiono? Cosa siamo disposti a fare, oltre che a dire che così le cose non vanno bene? Scopriamo anche che c’è chi si approfitta di queste persone doppiamente vittime, e vogliamo aggiungere anche il nostro disinteresse, ostilità e rifiuto? Mentre si discute e si dibatte, queste persone hanno pure il diritto di vivere! L’accoglienza vera non si fa perché comandata o perché precettati, ma perché nasce dal senso di autentico amore e compassione. Solo allora ci sarà vera accoglienza e non ‘campi di raccolta’, magari a scopo di lucro; solo allora qualche porta comincerà ad aprirsi; solo allora si passerà dal dire ‘non li vogliamo” o “accoglieteli voi’ al dire “venite qua”, “ti accolgo io”. Ma abbiamo tutti tanta strada da fare, anche perché chi non accoglie questi solitamente non accoglie neppure i poveri che sono qui.
+ Adriano Tessarollo