COMMENTANDO…
Il coraggio di abrogare leggi malfatte
La parola di Dio nel tempo della Quaresima tocca spesso i temi della misericordia e della giustizia. La misericordia va ben oltre la giustizia ma non è ‘legalmente esigibile o coercibile’. Essa tocca la coscienza individuale e le scelte volontarie. La giustizia è regolata dalle leggi e quindi è esigibile, cioè ha forza ‘coattiva’. Ma la giustizia ‘legale’, cioè sancita da leggi approvate dall’autorità competente, coincide con la giustizia ‘sociale’, ritenuta evidente prima ancora di essere sancita da leggi? Il sentire comune avverte alcune leggi, pur approvate, essere contro la giustizia evidente e si aspetta che vengano abrogate. Ma nessuno sembra poter mettervi mano, intoccabili più di qualsiasi dogma cattolico!
Pensiamo ai cosiddetti diritti acquisiti, riconosciuti dall’evidenza sociale come privilegi usurpati, o a tutti quegli orpelli legali e burocratici il cui scopo principale di fatto è di conservare tutto strettamente sotto il controllo dei funzionari, soggetto ad arbitrarietà e lungaggini infinite, sbloccabili troppo spesso solo attraverso altre vie che comunque sono sotto gli occhi di tutti e che mai hanno fine! Due domeniche fa meditavo, come tutti i cattolici che sono andati a messa, le parole, attribuite a Dio e rivolte a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo… ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti; conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…” (Es 3,7-8).
Se dapprima il pensiero è andato agli Ebrei schiavi in Egitto e ai ‘sovrintendenti’ della pubblica amministrazione del faraone, poi mi sono chiesto: ‘queste parole cosa dicono a noi oggi?’. Riusciamo a vedere che anche oggi, accanto a chi sta ‘bene’, a chi sta ‘molto bene’, a chi sta ‘troppo bene’, c’è anche chi sta ‘maluccio’, chi sta ‘male’ e chi sta ‘molto male’? Se la varietà di situazioni è dovuta a fortuna, a capacità personali, a laboriosità personale e anche a ‘responsabilità personali’, essa dovrebbe fare spazio alla misericordia che scaturisce dal ‘cuore buono’ di chi mette a disposizione volontariamente parte dei propri beni, del proprio tempo, delle proprie abilità, del proprio lavoro, per andare incontro a chi si trova in vario grado ‘nella miseria’, aiutandoli a uscire da quella situazione.
Questo avviene già a livello personale o di qualche gruppo o istituzione, ma non può essere comandato per legge. Lasciano perplessi invece quelle leggi che permettono o favoriscono l’ingiustizia sociale, dando loro patente di ‘giustizia legale’ a tutela di interessi di singoli o gruppi particolari, ceti sociali, categorie, caste. Da tempo si suona l’allarme circa le disponibilità non inesauribili dell’INPS, che rischia di non poter rispondere, in un futuro prossimo, alla sua funzione di previdenza sociale. Nessuno può mettere mano o intervenire per correggere quegli squilibri definiti, ‘diritti acquisiti’. Un esempio tra i molti: leggevo in questi giorni della legge 564/96, introdotta venti anni fa. Essa prevedeva (e forse continua a prevedere) che il calcolo della pensione avvenisse in base allo stipendio percepito nell’ultimo mese di lavoro. Molti hanno potuto farsi riconoscere uno stipendio più alto o altissimo per gli ultimi mesi o solo anche per l’ultimo mese di lavoro. Così è stata loro riconosciuta una ‘pensione d’oro’ il cui costo grava sull’INPS, cioè sugli italiani che oggi contribuiscono e che non sanno se domani potranno usufruirne. Pensiamo ai nostri giovani senza lavoro oggi e senza pensioni domani! Speriamo di no! Ritengo questo meccanismo sì legale, ma poco morale. Chi è riuscito a farselo riconoscere se lo tiene stretto come diritto acquisito, perché ‘legalmente riconosciuto’. La coscienza, la giustizia sociale e la misericordia hanno niente da dire? E’ sufficiente educare alla legalità, se questa non contempla giustizia sociale, equità e misericordia?
+ Adriano Tessarollo
(dal settimanale diocesano “Nuova Scintilla” del 13 marzo 2016)