Un’instancabile passione

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INTERVISTA AL VESCOVO ADRIANO

a proposito della recente assemblea CEI ad Assisi, dedicata ai sacerdoti.

Un’instancabile passione

Abbiamo rivolto alcune domande al nostro vescovo Adriano di ritorno dall’ultima assemblea della Conferenza episcopale italiana (Assisi, 10-13 novembre) per sentire direttamente da lui le indicazioni emerse, per capire come la nostra diocesi vive l’impegno formativo dei sacerdoti e per conoscere la situazione e le prospettive dei rapporti tra sacerdoti e con il vescovo, oltre che con i laici, nella nostra Chiesa locale.

– Quale il tema centrale dell’assemblea dei vescovi italiani ad Assisi?

Tema fondamentale delle recente Assemblea CEI è stato “La vita e la formazione dei presbiteri”.

– Perché?

Le ragioni sono molte e importanti, ma innanzitutto l’esigenza di prestare attenzione al mutato contesto culturale, ecclesiale e pastorale che ha segnato il cammino dei nostri seminari e dei nostri presbiteri in questi cinquant’anni del post-concilio.

 

– In questi ultimi anni la nostra diocesi ha riunito più volte i sacerdoti ponendo a tema la loro identità e missione. Perché?

La riflessione teologica e pastorale ha attirato l’attenzione su alcuni aspetti dell’identità, del ministero e della vita del prete: priorità e urgenza della evangelizzazione, carità pastorale come indicatore dell’identità e ministero del prete, appartenenza al presbiterio come dimensione previa e costitutiva dello stesso agire pastorale e come testimonianza della spiritualità di comunione, che dovrebbe essere l’elemento base e il ’clima’ stesso della vita sia dei presbiteri che dei seminari. La Formazione permanente in questi anni, a partire dalla ‘Pastores dabo vobis’ è stata compresa in maniera diversa: da corsi a percorsi, da aggiornamento a formazione, da conferenze a esercizio di comunione fraterna e condivisione pastorale. Oggi essa è considerata una necessità e non un optional al quale partecipa chi vuole. Se ogni cristiano è chiamato alla con-figurazione a Cristo, il presbitero è chiamato alla con-figurazione a Cristo pastore, ma anche a non vivere il suo ministero da isolato, e la sua formazione si configura anche come una formazione-con il presbiterio. Formazione permanente quindi è esercizio di comunione a partire dalla stessa radice sacramentale del ministero in vista di una più evidente fedeltà alla missione affidata alla Chiesa di fronte alle provocazioni di questi nostri tempi.

– Dunque, quali i risultati: quale l’immagine di prete che emerge?

L’insistenza in questi anni è stata rivolta ad alcuni aspetti fondamentali che sintetizzo con tre parole e commento con altrettante espressioni che papa Francesco ha rivolto a noi vescovi attraverso il Nunzio.

1. “Discepoli”: anche i presbiteri sono chiamati giorno dopo giorno, attraverso il loro ministero a seguire il Signore Gesù. Papa Francesco scrive: “La formazione è un’esperienza di discepolato permanente che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui”.

1. “Presbiterio”: tutti i preti col vescovo devono crescere nella comunione e nella fraternità. Papa Francesco scrive: “La gioia più vera si gusta nella fraternità vissuta”.

3. “Vita evangelica”: i presbiteri vivano la carità pastorale, manifestazione concreta, umile e vivente dell’amore di Dio per gli uomini. Scrive ancora papa Francesco: “Liberi dalle cose e da se stessi rammentano a tutti che abbassarsi senza nulla trattenere è la via per quell’altezza che il vangelo chiama carità”; e “Non servono preti clericali il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono il ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione”.

– Quali problemi e quali chances?

I problemi che maggiormente noto sono la fatica di sentirsi parte di una Chiesa ‘sempre in riforma’ e di un presbiterio che opera in comunione di indirizzi. Ogni altro riferimento autorizza a operare in maniera diversa e a concepire la continuità come comodo immobilismo personale. Le ‘chances’ sono quelle di vivere e mostrare il volto di una Chiesa innamorata di Cristo, povera tra i poveri, meno burocratica e più misericordiosa, meno ripiegata in se stessa e più missionaria, non spenta e pessimista, ma aperta alle alte mete evangeliche.

– La crisi delle vocazioni e la nuova conformazione delle parrocchie e/o unità pastorali, con le mutazioni dell’ambiente culturale e sociale, verso quale immagine di prete orientano?

Credo che realisticamente sia sempre più difficile parlare di una ‘immagine’ del prete futuro , dato che oggi le diverse provenienze di studi, di esperienze, di cultura e di rifermenti spirituali, non permettono di ‘produrre e istituzionalizzare un modello guida’ per l’esercizio del presbiterato. La tendenza oggi è quella di essere leader o semplicemente membri di movimenti religiosi, più che assumere le mansioni tipiche proprie del prete tradizionale cattolico. I motivi di più grande soddisfazione legati all’esercizio della funzione presbiterale provengono dalla presidenza delle celebrazioni liturgiche, dall’ascolto delle singole persone e dalla predicazione, a scapito di altre importanti e più umili e faticose mansioni. Altro elemento che rende difficile immaginare il prete del futuro si ricava dal fatto che sono statisticamente in crescita i presbiteri che scelgono il confronto e la progettazione pastorale con ‘amici preti’ piuttosto che il confronto e gli incontri con i preti che operano nelle parrocchie dello stesso territorio. Questo fenomeno, aggiunto alla scarsità di vocazioni, la diversità di provenienza e la mancanza di un cammino seminariale identitario, lascia presagire un clero diocesano molto diverso e sempre meno omogeneo, oltre che sempre meno numeroso.

– Come procede e come può essere incrementata in diocesi la pastorale vocazionale?

Oggi più che mai la scelta presbiterale è una scelta ‘ecclesiale’, perché si ha consapevolezza che Gesù Cristo lo si può amare e fare amare in ogni stato di vita. Questo significa che la pastorale vocazionale sarà principalmente opera delle comunità cristiane che apprezzano e richiedono questo ministero e dei presbiteri che mostrano la gioia e il dono di mettersi con Cristo a servizio della fede e della speranza degli altri, nella carità del dono di sé. Diventare prete significa entrare in una appassionata e gioiosa comunità presbiterale, un corpo vivo che serve Cristo nei fratelli. Chi può fare questo se non i presbiteri nelle loro comunità? E’ lo stile di vita dei presbiteri che diventa proposta vocazionale per i giovani di oggi, veicolo della chiamata del Signore.

– Come vengono garantiti la formazione dei nuovi sacerdoti e l’accompagnamento dei giovani sacerdoti?

Formazione e accompagnamento sono momenti diversi ma anche con qualche somiglianza. L’esiguità del numero dei nostri seminaristi è un limite per certi aspetti. Comunque la formazione teologica è affidata alla Facoltà teologica triveneta. Quella umana, spirituale e pastorale è affidata al rapporto con i sacerdoti a questo deputati, alle parrocchie di provenienza e dove vanno a compiere qualche ministero, come pure al rapporto in famiglia. La vita in seminario è scandita da studio, preghiera, relazioni con gli altri membri. Più complesso è l’accompagnamento dei preti giovani. Ci dovrebbe essere l’attenzione primaria dei parroci cui i giovani preti son affidati nei primi anni di ministero. Dovrebbero essere preti di dialogo e di comunione, sagge guide pastorali che sanno introdurre con amore e rispetto il giovane prete a tutte le esperienze pastorali, capaci di verificare le esperienze, di incoraggiare e correggere, modelli di fede e di carità! Vi sono certo attività specifiche per il gruppo dei preti dei primi 6 anni di ministero, aperte fino ai 10 anni. Non tutti partecipano! Il vescovo tiene certamente un occhio di riguardo, senza ‘incombere’.

– Quale rilevanza la comunione presbiterale riveste sia per la formazione e il sostegno della personalità del prete, sia per la sua azione pastorale?

Sarebbe una grande opportunità perché è ormai pacifico che ci si forma lungo tutto il tempo del ministero in comunione con gli altri presbiteri, ma in questo ambito vedo tanta strada da fare perché la comunione esige umiltà, disponibilità, reciprocità, confronto, comprensione e compassione, e l’accettazione di una cammino comune. Tutto questo è una sfida che ci sta davanti più che un traguardo raggiunto.

– Quale struttura personale (quale apertura e disponibilità…) di comunione hanno i preti oggi, sia in ordine alla comunione presbiterale sia in ordine alla collaborazione laicale, sia in ordine al rapporto con la gente?

San Paolo scriveva ai Tessalonicesi più o meno queste parole: “…Così già vi comportate e preghiamo perché possiate progredire ancora di più”. Qualcosa abbiamo fatto, ma ancora c’è molto da fare, “chi in un modo, chi in un altro”, chi si apre e chi resiste!

– Come un prete oggi vive la sua identità di ‘padre e maestro’, il suo legame con la comunità e la responsabilità nei suoi riguardi?

Ancora mi piacerebbe che san Paolo ci fosse maestro con queste sue parole: “Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e lo è anche Dio, che il nostro comportamento verso di voi, che credete, è stato santo, giusto e irreprensibile. Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria” (1 Ts 2,7-12). Una bella meta verso la quale andare, ma verso la quale ci dovremmo sentire incamminati con l’assunzione del sacerdozio e l’accettazione della responsabilità pastorale!

– Quanto contano il carattere, l’intelligenza, l’equilibrio affettivo? 

Abbiamo ascoltato la parabola dei talenti domenica scorsa. Ognuno metta a disposizione tutto quello che ha: per tanto poco che possa sembrare, è sempre un grande dono del Signore da offrire ai fratelli. Ma ci vuole la pazienza e l’umiltà di riconoscerlo, di accettarlo, di coltivarlo, di non sopravvalutarlo, per poi donarlo, senza invidie, senza presunzioni e senza rimpianti.

– In quale misura il vescovo vive una reale comunione con i suoi sacerdoti, coinvolgendoli nella elaborazione di giudizi, di scelte, su varie situazioni personali, pastorali, sociali?

Nella misura anche a lui possibile e nella misura in cui è accolto, stimato e cercato. Certo vale anche per il vescovo il detto paolino: “…così già vi comportate e preghiamo perché possiate progredire ancora di più”. In genere ritengo di fare buon uso degli organismi di partecipazione e delle assemblee del clero per chiedere e ascoltare e ritengo di non precludermi ad ascoltare pareri personali dei preti, anche se non sempre possono coincidere.

– E’ riconosciuto a sua volta come padre e maestro e accompagnatore nella vita e nella fede?

Questo lo deve dire il clero. Io faccio del mio meglio. Ma so anche che in ambito spirituale ogni adulto si sceglie i propri padri e i propri maestri, che non possono essere imposti. Sarebbe già bene che fossero accettati. Né questo presbiterio mi ha scelto, né io ho scelto questo presbiterio. Per parte mia ho accolto tutti e cerco in coscienza di trattare ciascuno con il rispetto e l’amore che il ruolo ‘paterno’ richiede nella guida di una grande famiglia, offrendo quanto anch’io attingo alle fonti della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa e dall’esperienza pastorale illuminata dalla fede, dalla preghiera e dal confronto fraterno. Così pure mi pare di tentare di stare accanto ad ognuno, naturalmente col mio stile e le mie caratteristiche e per quanto mi è permesso ed accettato.

– Ci si pone il problema del rapporto e della comunione e dello scambio con le diocesi vicine?

Noi vescovi dedichiamo una giornata ogni due mesi, e altri momenti ancora per confrontarci sui problemi e sulle scelte pastorali di ogni diocesi, nell’intento di percorrere un cammino comune. E’ anche vero che anche tra vescovi e tradizioni di ciascuna Chiesa diocesana vi sono diversità di orientamenti e di scelte operative pastorali.

– Come viene affrontata la questione della formazione nel rapporto effettivo e personale tra seminaristi dei vari seminari e tra sacerdoti delle varie diocesi tra loro vicine?

Rapporti e confronti avvengono in occasione di proposte di incontri regionali, di confronti tra sacerdoti incaricati per ogni settore della pastorale, della formazione dei seminari, della formazione permanente del Clero…

– Tornando, per concludere, all’assemblea CEI: quali i nodi più problematici emersi, quali gli spunti e suggerimenti condivisi, quali le proposte da rilanciare?

Ho già detto molte cose. Concludo con una per tutte: non c’è migliore formazione permanente del presbiterio di quella di condividere la fede e la vita e le scelte pastorali, pregare insieme, discernere insieme, lavorare insieme, verificare insieme, condividere fatiche e consolazioni, crescere nell’amicizia fraterna, sostenersi reciprocamente nella fedeltà all’amore del Signore, pieni di speranza, nell’instancabile passione per il cammino e la crescita dell’unico popolo di Dio che è la nostra Chiesa diocesana di cui siamo a servizio.  

(a cura di a. b. e v. t.)

Nelle foto: in quella centrale il vescovo Adriano; in alto il gruppo dei sacerdoti diocesani con il vescovo durante una delle “giornate sacerdotali” annuali.

 

da NUOVA SCINTILLA 44 del 23 novembre 2014